martedì 22 maggio 2018

La Chiesa come Popolo di Dio nell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco




Paolo Cugini

Il perno dell’impostazione ecclesiologica di papa Francesco è la ripresa di uno dei temi centrali del Concilio Vaticano II, vale a dire la Chiesa come Popolo di Dio. In un recente saggio Roberto Repole afferma che: “La categoria più importante con cui il Concilio Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata quella del Popolo di Dio”[1]. Quando la Lumen Gentium descrive la Chiesa nel suo svolgimento storico, lo fa parlando della Chiesa come Popolo di Dio. Francesco riprende, dunque un’immagine di Chiesa, cara al Concilio, ma che per tante ragioni nei decenni successivi era andata perdendosi, lasciando spazio ad altre immagini, prima fra tutte la Chiesa come comunione. Con Francesco, dunque, c’è una ritrovata centralità della categoria ecclesiale di Popolo di Dio, che il Papa esprime in diverse occasioni sin dagli inizi del suo pontificato.

L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. E’ la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen Gentium al numero 12. L’appartenenza ad un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza ad un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo”[2].

 La Chiesa è un mistero che sorge dalla Trinità e s’incarna storicamente in un “Popolo pellegrino ed evangelizzatore”. E’ questa idea di popolo, così centrale nella riflessione conciliare[3], che permette a Papa Francesco di sviluppare un’idea a lui cara e che riprenderà anche in altri documenti, vale a dire il dato biblico, che il pensiero profetico ha, ad un certo punto del suo percorso, sviluppato e approfondito, che tutti sono chiamati alla salvezza. E’ questo “tutti”, che acquisisce una dimensione universalista nella riflessione bergogliana, e che provoca e stimola la Chiesa ad allargare i propri orizzonti. La sensibilità ecclesiale di Francesco che esprimerà non solo nei pronunciamenti magistrali successivi, primo fra tutti il capitolo ottavo dell’Amorsi Laetitia, che affronteremo in seguito, è già ben evidente nei primi passi del suo pontificato. La Chiesa come Popolo di Dio esprime la volontà di un destino universale della salvezza. Anche questo tema è mutuato dall’impostazione conciliare che esprimeva il desiderio di una Chiesa aperta a tutti, sentita e percepita come casa di tutti, senza nessun escluso[4]. “Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con rispetto e amore” (EG 114). Senza dubbio è possibile percepire in simili espressioni il nesso tra universalismo della salvezza e Chiesa della misericordia, anche questo tema assi caro a Papa Francesco, che segna in profondità il suo pontificato.

 La percezione che nessuno si salva da solo, implica l’importanza di una convocazione ecclesiale rivolta a tutti. “Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: Andate e fate discepoli tutti i popoli (Mt 28,19)” (EG 113). Francesco fa notare che, quest’appello di Gesù, fu recepito sin dall’inizio dalla comunità cristiana. Infatti, San Paolo afferma nella lettera ai Galati che “non c’è più giudeo né greco… Perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Se, allora, i cristiani sono invitati ad annunziare a tutte le genti il Vangelo della salvezza, ciò significa che essere Chiesa vuole dire essere Popolo di Dio, aperta a tutti, senza esclusione di nessuno. La dimensione missionaria della Chiesa è intrinsecamente legata alla comprensione che ha di se stessa come Popolo di Dio.

La più significativa conseguenza dell’immagine della Chiesa come popolo di Dio è la corresponsabilità di tutti al processo di evangelizzazione. Nessuno deve sentirsi escluso, soprattutto in virtù del battesimo, che ci rende tutti figli e figlie di Dio, con uguale dignità.

“Tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità e di cui dovremmo sempre essere orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, i fedeli vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (LG 10).

 E’ da questa importante presa di posizione del Concilio Vaticano II che Papa Francesco rilancerà con forza la necessità di una Chiesa in cui tuti e tutte si sentano corresponsabili. A partire dalle importanti intuizioni espresse nell’Evangeli Gaudium sulla corresponsabilità dei laici alla vita della Chiesa, Francesco ha espresso più volte e in diverse circostanze la portata ecclesiale della visione della Chiesa come Popolo di Dio. Da una parte, conduce alla valorizzazione del laicato e, dall’altra, ad una nuova comprensione del ministero presbiterale. Famose, a questo proposito, sono le reiterate prese di posizione nei confronti di quella malattia endemica che Francesco chiama clericalismo[5], tipica di chi vive il ministero più come un prestigio personale, che come un servizio da realizzare all’interno del popolo di Dio, in relazione al gregge affidato.

“Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio […] Siamo, come sottolinea bene il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità “è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio” (LG, 9)[6]

In questa prospettiva per Francesco diventa di fondamentale importanza il lavoro che viene svolto nei seminari, durante gli anni che preparano i futuri pastori del gregge. Nel discorso che il Papa ha tenuto all’incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) nel 2013, sosteneva che la formazione dei seminaristi non può essere orientata solamente alla crescita personale, ma alla sua prospettiva finale: il popolo di Dio[7].
C’è dunque, una comune dignità che ci rende tutti figli e figlie di Dio, appartenenti allo stesso Popolo di Dio, chiamati per vocazione ad annunciare a tutti la gioia del Vangelo. E’ su questo dato specifico che si fonda la corresponsabilità di tutti i fedeli, nessun escluso. Certamente, la sensibilità su questo specifico tema così caro a Papa Francesco deriva dal cammino della Chiesa Latinoamericana dalla quale proviene. In ogni modo, è significativo sottolineare che la scelta di Francesco di utilizzare e valorizzare l’immagine della Chiesa come Popolo di Dio non è casuale e arbitraria, ma fonda un modo specifico d’intendere il ruolo dei fedeli laici, la loro corresponsabilità e ministerialità.

Proprio perché è Popolo di Dio, la Chiesa è invitata ad incarnarsi in tutte le culture che incontra sul proprio cammino. La cultura dice del modo di essere di un popolo. E’ nella cultura di un popolo che incontriamo la sua identità, perché raccoglie il suo stile di vita, le proprie modalità espressive maturate durante i secoli e che lentamente si sono strutturate in una forma specifica. Siccome la persona umana è per sua natura relazionale, tende a costituire una società. “L’essere umano è sempre culturalmente situato: natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse. La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio s’incarna nella cultura di chi lo riceve” (EG 115). La Chiesa, dunque, non può esistere se non inculturata. E’ questa la lezione che deriva da testi conciliari come LG 13 e GS 53-62.
“Il popolo di Dio nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini dei popoli, nella misura in cui sono buone e, accogliendole, le purifica, le consolida ed eleva” (LG 13).

Questa sensibilità tipicamente conciliare, deve comunque molto al particolare tipo di recezione avvenuta in America Latina e, soprattutto, in Argentina. E’ ormai parere comune[8]che l’idea della Chiesa come popolo di Dio presente in modo così significativo nel magistero di Papa Francesco, oltre ad essere espressione del contributo conciliare al dibattito sulla Chiesa, viene mutuato dal Papa a partire dalle riflessioni della teologia del popolo di matrice argentina. Vale la pena, allora, soffermare la nostra attenzione un istante su questo passaggio. Secondo il teologo argentino Scannone, La teologia del popolo formulata in Argentina a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, costituisce una versione contestualizzata della teologia della liberazione che, in quegli anni del dopo-concilio, si andava formulando in America latina[9]. La teologia del Popolo identifica con quest’ultimo termine i poveri che, oltre a costituire la maggioranza della popolazione, mantengono e trasmettono la cultura propria del popolo a cui appartengono[10]. Due elementi fondamentali derivano da questa basilare constatazione.
 La prima, è l’attenzione costante che la teologia del popolo ha mantenuto sulle culture locali, come forma di sopravvivenza dell’identità dei poveri. Non a casa Papa Francesco dedica pagine significative nel suo magistero al tema delle culture non solo nell’Evangli Gaudium, ma anche tutte le volte che nei suoi viaggi entra in contatto con popoli le cui culture locali sono minacciate. Toccare la cultura di un popolo significa mettere a rischio la sua sopravvivenza. Significative sono le reiterate prese di posizione nei confronti della salvezza delle culture dei popoli indigeni, minacciate dalla distruzione causata dalle multinazionali stranieri sul territorio latinoamericano. L’altro aspetto importante è la presa di posizione nei confronti dei poveri. Non a caso, i teologi argentini sosterranno l’opzione preferenziale per i poveri, realizzata per la prima volta nel 1968 a Medellin. Ecco perché Scannone sostiene che:

“L’opzione preferenziale per i poveri, realizzata a Medellin e formalizzata a Puebla (1979), non si oppone all’opzione compiuta da quest’ultima Conferenza per l’evangelizzazione della cultura e delle culture dei popoli, giacché, de facto, coincidono. E probabilmente anche de jure, perché sono loro – i Juan Pueblo, le persone comuni prive dei privilegi del potere, dell’avere o del sapere – che fanno trasparire nel modo migliore e più autentico la cultura comune del Popolo”[11]

Prima di essere una categoria sociologica, il popolo indica uno stile di vita comune, che identifica un popolo rispetto ad un altro. In questa prospettiva, afferma Repole, “Il popolo di Dio non può che esistere strutturalmente nei diversi popoli, ovvero nelle differenti culture: è l’unico popolo di Dio, che esiste però concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle culture in cui vive”[12]

Del rapporto Vangelo e cultura così come Papa Francesco lo intende ne tratteremo in modo approfondito più avanti. In questo paragrafo, strettamente legato al tema della Chiesa come Popolo di Dio, è importante sottolineare una tematica che nella Evangeli Gaudium è centrale, vale a dire il sensus fidei dei credenti[13]. L’evangelizzazione dei popoli non può essere delegata ad un corpo speciale della Chiesa, perché tutti, in virtù del Battesimo, sono discepoli e missionari:

 “In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile in credendo. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. (EG 119)[14].

Secondo Papa Francesco, Dio ha dotato i fedeli di un sensu fidei, un istinto della fede, che gli permette di discernere ciò che viene direttamente da Dio. Del resto, questa intuizione è in linea con la teologia del cuore che il pensiero profetico aveva elaborato all’epoca dell’esilio in Babilonia, che sosteneva che Dio avrebbe impresso nel cuore di ogni uomo la sua legge, per permettere a tutti di conoscerla. In virtù del Battesimo ogni fedele riceve lo Spirito Santo che concede loro una relazione intima, intuitiva con la realtà divina, che dona loro una saggezza speciale, anche se non posseggono gli strumenti adeguati per esprimerla con precisione. Probabilmente Francesco deduce queste riflessioni dal suo lavoro pastorale precedente, svolto all’interno della Chiesa argentina. Sono le situazioni critiche della vita che conducono i fedeli a sperimentare la forza dello Spirito Santo ea discernere la scelta giusta da realizzare. In questa prospettiva il sensus fidei, prima di essere un tema teologico, è un’esigenza che il Popolo di Dio sperimenta nel vissuto quotidiano. In ogni modo, tutti i membri del Popolo di Dio sono discepoli e missionari, chiamati ad annunciare il Vangelo a tutti. Non si può parlare di nuova evangelizzazione e di nuovo impulso missionario, senza il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio.
 Chi ha fatto l’esperienza dell’amore di Dio non può esimersi dall’impegno di evangelizzare. Per questo compito, sottolinea Francesco, non c’è bisogno di corsi specifici, perché l’esperienza dell’amore di Dio vissuta dal cristiano è sufficiente per il primo annuncio. E’ esplicito il richiamo in questi passaggi, alla riflessione realizzata nella Chiesa latinoamericana e contenuta nel documento di Aparecida, in cui s’invitano tutti i discepoli e missionari a realizzare una grande missione su tutto il territorio del Continente[15]. Il teologo Repole ha fatto notare come Francesco porti sul campo della pastorale ordinaria un tema centrale nel Vaticano II, ma che non fu sufficientemente approfondito nel dopo concilio[16]. Il sensus fidei del Popolo di Dio permette di comprendere meglio il senso di una Chiesa tutta coinvolta nel processo di evangelizzazione e chiamata a discernere i segni dei tempi nel vissuto quotidiano. Ecco perché la teologia argentina ha sempre avuta un’attenzione particolare per la pietà popolare, come espressione del sensus fidei fidelium. L’ha considerata come un elemento costitutivo del cammino del popolo di Dio. Anche Papa Francesco collega il sensus fidei alla pietà popolare, presentandola come espressione del Vangelo inculturato e invita a leggere le sue azioni quali espressioni di una vita teologale, “dal momento che vi è all’opera quello Spirito Santo di cui i cristiani sono unti”[17]. Agli occhi di Papa Francesco le azioni della pietà popolare, che non ha nulla da spartire con la devozione popolare, sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato, come ci ricorda san paolo nella lettera ai Romani, nei nostri cuori (cfr. Rom 5,5). La pietà popolare è, in questa prospettiva, “spiritualità incarnata nella vita dei semplici” (EG 124)[18].




[1] REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, cit. p. 50; cfr.: ALMEIDA, L. et al. El futuro de la reflexión teológica en América Latina. Bogotá: Editorial CELAM, 1996. p. 195-241;
[2] SPADARO, A., Intervista a papa Francesco, p. 459
[3] Cfr. VITALI, D., Popolo di Dio, Cittadella, Assisi 2013
[4] Per la posizione conciliare su questo tema specifico della prospettiva universalista della salvezza cfr.: CANOBBIO, G., Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994. Cfr. anche: YÁNEZ, H. M. (a cura di). Evangelii gaudium: il testo ci interroga. Roma: Gregorian University Press, 2014. p. 159-170
[5] Cfr. “Il clericalismo si dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartiene a tutto il Popolo di Dio (cfr. LG 9-14) e non solo a pochi eletti e illuminati” in Lettera del Papa Francsco al Cardinale presidente della Pontificia Commissione per l’America Latine, sta in: FRANCISCO, Palabra profetica y mision, Santiago de Chile, Ed. Copygraph, 2016 p. 15
[6] FRANCESCO, Il santo popolo fedele di Dio, in Il Regno/Doc 61 (2016/7), 201-2014, p. 202
[7] “La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca […] Bisogna sempre pensare ai fedeli, al popolo fedele di Dio. Bisogna formare fedeli che siano testimoni della resurrezione di Gesù. Il formatore deve pensare che la persona in formazione sarà chiamata a curare il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare nel popolo di Dio” (discorso citato in: SPADARO, A. Svegliate il mondo! Colloquio di Papa Francesco con i superiori generali, in La Civiltà Cattolica
[8] Cfr. REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, Cit., p.65s; SCANNONE, JC., Quando il popolo diventa teologo, EMI, Bologna 2016; ID, Vientos nuevos del Sud: La teología argentina del pueblo y el Papa Francisco, in Rev. Pistis Prax., Teol. Pastor., Curitiba, v. 8, n. 3, 585-611, set./dez. 2016; SCANNONE, J. C. Papa Francesco e la Teologia del popolo. La Civiltà Cattolica, n. 3930, p. 571-590, mar. 2014; POLITI, S. Teología del pueblo: una propuesta argentina a la teología latinoamericana 1967-1975. Buenos Aires: Ediciones Castañeda, 1992.
[9] Su questo tema specifico cfr. GUTIERREZ, La teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1968; SCANNONE, J.C., La teologia della Liberazione. Caratteristiche, correnti, tappe in Stromata 38 (1982) p. 3-40
[10] Cfr. SCANNONE, J.C., Quando il popolo cit. p. 13s
[11] Ivi, p. 14
[12] REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica, cit. p. 67; cfr. anche su questo tema: GALLI, C. M. El pueblo de Dios en los pueblos del mundo. Catolicidad, encarnación e intercambio en la eclesiología actual. 1993. 455 f. Tesi (Dottorato in Teologia) — Facultad de Teología, Universidad Católica Argentina, 1993.
[13] Su questo tema cfr. VITALI, D., Sensus fidelium: una funzione ecclesiale di Intelligenza della fede, Morcelliana, Brescia 2013; Commissione Teologica Internazionale, Il Sensus fidei nella vita della Chiesa (disponibile in francese sul sito della Santa Sede),  giugno 2014.
[14] Significativo notare che in nota il testo rimanda al numero 12 di LG.
[15] Cfr. CELAM, Aparecida
[16] Cfr. REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica, cit. p. 71
[17] Ivi, p.75
[18] C’è      ui, in questo passaggio significativo, un’espicita citazione del documento di Aparecida, di cui Bergoglio fu uno dei principali redattori.

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