giovedì 11 gennaio 2018

LA CHIESA HA DAVVERO ANCORA BISOGNO DI PRETI?



[pubblicato su NOTICUM, gennaio 2018]


Paolo Cugini

Ogni contesto culturale produce i suoi protagonisti a tutti i livelli della società civile. C’è stata l’epoca delle contrade e l’epoca degli artigiani. C’è stato un tempo in cui il mondo romano era diviso tra patrizi e plebei. E mentre l’Occidente inventava la stampa, nelle culture andine dell’America Latina, la civiltà sviluppava una cosmogonia in cui uomo, donna, animali e piante erano in perfetta armonia. Oggi, invece, dominano i super mercati, perché rispondono meglio alle esigenze del nuovo modello globalizzato di società e di economia. Non a caso i supermercati li troviamo in ogni angolo del pianeta. In ogni latitudine del pianeta e in ogni epoca troviamo forme di religiosità con i suoi templi e i suoi sacerdoti. Ci sono dei dati antropologici universali come la religione e dei modi contestualizzati di viverli. Nella storia delle religioni gli attori che ruotano intorno al sacro non sono solo uomini, ma anche donne. Mutano le condizioni sociali, mutano allo stesso tempo gli attori del sacro.
Anche la Chiesa, che è un’istituzione umana che risponde a logiche del mondo e, di conseguenza, anche lei è soggetta a mutamenti nel corso dei secoli, ha mutato durante i secoli sia la ritualità attraverso cui esprime l’evento originario, sia la tipologia di coloro che sono addetti ai riti religiosi.  Certamente la Chiesa ha un mandato divino e si alimenta di Dio, ma il modo di gestirla utilizza criteri umani. Come tutte le istituzioni che durano nel tempo, anche la Chiesa fa fatica ad adattarsi ai mutamenti necessari. Il passare del tempo provoca assestamenti strutturali che vengono identificati come identitari e, di conseguenza, immodificabili. Tutto ciò avviene quando una tradizione culturale o religiosa perde il contatto con la sua origine, oppure quando tra l’origine e il presente della storia s’interpongono tradizioni di provenienza esterna, che modificano l’identità della struttura stessa. La mancanza di un gruppo di sapienti, che mantengono il contatto con l’origine e che può allertare la base di un movimento politico o religioso delle distorsioni in atto, provoca lentamente e progressivamente la base identitaria del gruppo. E così, può succedere e di fatto succede, che una religione o un gruppo politico con il tempo si trasforma, allontanandosi dalla sua origine da risultare pressoché irriconoscibile. Le mutazioni all’interno di una struttura sociale, religiosa e politica sono inevitabili e, per questo, occorre essere in grado di accompagnare i cambiamenti per non correre il pericolo di distruggere il contenuto originario.

Muta, in questa prospettiva, all’interno della religione cattolica in questa epoca denominata di post-cristianesimo, anche la figura del prete, il suo modo d’intenderlo, la sua funzione nella comunità. Questo cambiamento è nella regola delle cose della società civile. Sono i cambiamenti culturali che dettano le indicazioni per i cambiamenti di tutte le strutture che ne fanno parte e che non vogliono perdere il loro posto. Nelle epoche denominate di passaggio, come quella che stiamo vivendo, il pericolo consiste nel non coglierlo e nel non riuscire a intuire i cambiamenti necessari per permettere alla propria struttura di rimanere dentro. Che cosa, allora, dovrebbe cambiare nella modalità del prete cattolico di esercitare il suo ministero? Ancora di più è possibile chiedersi: è proprio necessaria questa figura nel nuovo quadro culturale e sociale che si sta configurando?

Se è vero, come c’insegnano i documenti della Chiesa e una lunga tradizione che deriva dai Padri della Chiesa, che è l’Eucarestia che fa la Chiesa, allora occorre mettere le comunità cristiane in grado di nutrirsi di essa. Nell’attuale contesto culturale è in atto, da alcuni decenni, una progressiva e inarrestabile diminuzione del clero, di coloro chiamati cioè a presiedere le comunità per celebrare l’Eucarestia. In Italia, ma non solo, già da qualche anno sono in atto nelle Diocesi delle proposte per arginare il problema. La più significativa è quella delle Unità Pastorali, che vede il raggruppamento di alcune parrocchie affidate ad un solo parroco. Con l’andare del tempo, questo nuovo modello di ristrutturazione delle parrocchie non permetterà più alle comunità di avere la possibilità dell’Eucarestia domenicale. Del resto, questo problema è già visibile nelle parrocchie delle nostre montagne e in altri paesi come la Francia.

Perché non cambiare sistema? Se il problema è permettere alle comunità cristiane di alimentarsi dell’Eucarestia perché insistere con il modello del prete celibe e votato alla Chiesa per tutta la vita? Perché non provare a proporre figure più al passo con i tempi, persone che offrono un servizio limitato nel tempo? Si potrebbero ordinare persone della comunità, di fede provata il cui carisma è riconosciuto dalla stessa comunità. Che tipo di persone? Persone celibi o sposate, uomini o donne. Si anche donne. E’ inutile, infatti, che la Chiesa continui a parlare di genio femminile, se poi esclude le donne dalla possibilità di guidare una comunità. Non può la Chiesa farsi da paladina della lotta contro le ingiustizie causate dalle disuguaglianze sociali, quando esclude le donne dalla possibilità di far parte dei quadri che dirigono le sorti della Chiesa. In fin dei conti si tratta di mantenere viva la fede del Popolo di Dio e, di conseguenza, occorre fare di tutto affinché i fedeli si alimentino del Signore.
Perché la Chiesa resiste così tanto al cambiamento? Non è un problema di Vangelo, ma di potere. Abituata da secoli ad essere significativa e incisiva in Occidente sul piano politico e sociale, avere totalmente a disposizione un schiara di uomini celibi per tutta la vita, qualificati e sottopagati, vuole dire molto. Togliere questo esercito di uomini che firma un giuramento di totale obbedienza all’istituzione, significa privarsi di quella struttura specifica che ha espresso il modo della Chiesa di stare nel mondo. A mio avviso la Chiesa non rinuncerà mai a loro. Si terrà stretta questa schiera di uomini celibi votati fino alla morte a Lei, sino al momento in cui ne rimarrà uno solo. Chi è abituato a comandare, fa fatica ad attorniarsi di persone con cui interloquire alla pari. Nel frattempo sarà la base, il Popolo di Dio che si organizzerà per mantenere viva la fede. L’ho visto fare in America Latina. Siccome il prete passa raramente nelle comunità, sono le persone stesse che vivono in comunità che si organizzano per leggere settimanalmente la Parola di Dio e celebrare alla domenica. La fede è più forte di qualsiasi istituzione. Questo lavoro di base contaminerà anche la struttura della Chiesa. Per ora, sarà importante modificare lentamente il cammino delle comunità per metterle in grado di sopravvivere. In questo modo la notizia della caduta del palazzo sarà meno rumorosa.

Per le Unità Pastorali, che avranno la tendenza in futuro di aumentare di dimensioni, si potrebbe pensare ad una figura che coordini il lavoro pastorale ed economico delle parrocchie coinvolte. Mentre per la guida della comunità, scelta tra il popolo delle comunità, si potrebbe pensare ad una remunerazione frutto del contributo della stessa comunità, per i coordinatori delle Unità Pastorali, che potrebbero essere svolti da laici debitamente preparati, si potrebbe pensare ad uno stipendio con il contributo dell’otto per mille. In questo modo, si uscirebbe dallo schema prevalentemente monastico della guida della comunità, che la vede separata dal popolo di Dio, per uno più conforme alle esigenze del tempo. Due figure, allora, si delineano nel cammino della Chiesa futura: quello del presidente dell’assemblea eucaristica, che celebra l’Eucarestia e quello del coordinatore delle Unità Pastorali. Queste figure pastorali esigono anche una spiritualità nuova che le alimenti e cammini formativi differenziati. Se le guide della comunità sono scelte tra coloro che vivono nella stessa e che probabilmente sono sposate, la spiritualità dovrà rafforzare il significato e il vissuto della vita matrimoniale. In questa prospettiva i seminari, così come oggi sono concepiti, non saranno più necessari, perché la formazione delle guide delle comunità avverrà all’interno della comunità stessa. Senza dubbio, si potranno prevedere percorsi formativi specifici, ma la maggior parte del percorso formativo è bene che sia realizzato nella comunità. Se fino ad ora la figura della guida della comunità aveva nel celibato il segno di un’appartenenza esclusiva a Dio e, per questo, viveva distante come stile di vita dal resto della comunità, ora è sempre più richiesta una figura di guida che condivida lo stile di vita della comunità.


Cambiando il tipo di figura della guida della comunità, cambia anche la spiritualità. Un presidente dell’Eucarestia preso fra il popolo e probabilmente sposato, non può alimentarsi con una spiritualità di stampo monastico, com’è quella del prete. La Chiesa dovrà provvedere ad elaborare una teologia laicale capace di andare incontro alle nuove esigenze. Oltre a ciò, pensando anche a presidenti dell’eucarestia donne, come del resto avviene da decenni anche in alcune chiese protestanti, si dovrà sviluppare sempre di più una teologia femminista capace di raccogliere le sfide dello sguardo femminile sulla realtà. Ci sarà, quindi, bisogno di una spiritualità meno di élite e più incarnata nella vita della gente. Probabilmente il tipo di teologia che elaborerà questo stile di Chiesa incarnato in mezzo al popolo di Dio, sarà meno esigente, meno propensa a porre dei pesi insostenibili alle persone – si pensi alla morale sessuale cattolica – e più al passo con la vita della gente. Ci troveremo dinanzi ad un cristianesimo che lavora meno sul sacro, ma avrà un volto più umano, molto più simile, cioè, al Gesù dei vangeli. Il mondo scristianizzato della nostra epoca post cristiana avrà la possibilità di vedere una chiesa più aderente al Vangelo, più alla ricerca dell’essenziale che della pompa. Come in tutte le cose e in tutte le istituzioni sociali e politiche, dallo stile dei capi si capisce il valore di un’istituzione. 

2 commenti:

  1. Grazie per quanto hai espresso nel tuo articolo. Grazie per la verità che hai lasciato emergere a piene mani. Grazie perché non ti sei tirato indietro. Grazie perché finalmente c'è qualcuno che torna a parlare come tentò di fare il Vaticano II. Grazie perché così voleva che si annunziasse il Vangelo il nostro Maestro Gesù.
    Grazie, perché se vorrai, potrai fare leva anche su di me.

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  2. (...Nós nos encontraremos diante de um cristianismo que trabalha menos no sagrado, mas terá um rosto mais humano, muito mais semelhante, isto é, ao Jesus dos Evangelhos...)
    Em nossa vivência, enquanto Comunidade Tapiramutense sempre fez assim. Humanidade/humanismo você tem de sobra!
    Abraços...Saudades...

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