[pubblicato su NOTICUM, gennaio 2018]
Paolo Cugini
Ogni contesto culturale produce i
suoi protagonisti a tutti i livelli della società civile. C’è stata l’epoca
delle contrade e l’epoca degli artigiani. C’è stato un tempo in cui il mondo
romano era diviso tra patrizi e plebei. E mentre l’Occidente inventava la
stampa, nelle culture andine dell’America Latina, la civiltà sviluppava una
cosmogonia in cui uomo, donna, animali e piante erano in perfetta armonia. Oggi,
invece, dominano i super mercati, perché rispondono meglio alle esigenze del
nuovo modello globalizzato di società e di economia. Non a caso i supermercati
li troviamo in ogni angolo del pianeta. In ogni latitudine del pianeta e in
ogni epoca troviamo forme di religiosità con i suoi templi e i suoi sacerdoti.
Ci sono dei dati antropologici universali come la religione e dei modi
contestualizzati di viverli. Nella storia delle religioni gli attori che
ruotano intorno al sacro non sono solo uomini, ma anche donne. Mutano le
condizioni sociali, mutano allo stesso tempo gli attori del sacro.
Anche la Chiesa, che è un’istituzione
umana che risponde a logiche del mondo e, di conseguenza, anche lei è soggetta
a mutamenti nel corso dei secoli, ha mutato durante i secoli sia la ritualità
attraverso cui esprime l’evento originario, sia la tipologia di coloro che sono
addetti ai riti religiosi. Certamente la
Chiesa ha un mandato divino e si alimenta di Dio, ma il modo di gestirla utilizza
criteri umani. Come tutte le istituzioni che durano nel tempo, anche la Chiesa
fa fatica ad adattarsi ai mutamenti necessari. Il passare del tempo provoca
assestamenti strutturali che vengono identificati come identitari e, di
conseguenza, immodificabili. Tutto ciò avviene quando una tradizione culturale
o religiosa perde il contatto con la sua origine, oppure quando tra l’origine e
il presente della storia s’interpongono tradizioni di provenienza esterna, che
modificano l’identità della struttura stessa. La mancanza di un gruppo di
sapienti, che mantengono il contatto con l’origine e che può allertare la base
di un movimento politico o religioso delle distorsioni in atto, provoca
lentamente e progressivamente la base identitaria del gruppo. E così, può
succedere e di fatto succede, che una religione o un gruppo politico con il tempo
si trasforma, allontanandosi dalla sua origine da risultare pressoché
irriconoscibile. Le mutazioni all’interno di una struttura sociale, religiosa e
politica sono inevitabili e, per questo, occorre essere in grado di
accompagnare i cambiamenti per non correre il pericolo di distruggere il
contenuto originario.
Muta, in questa prospettiva,
all’interno della religione cattolica in questa epoca denominata di
post-cristianesimo, anche la figura del prete, il suo modo d’intenderlo, la sua
funzione nella comunità. Questo cambiamento è nella regola delle cose della
società civile. Sono i cambiamenti culturali che dettano le indicazioni per i
cambiamenti di tutte le strutture che ne fanno parte e che non vogliono perdere
il loro posto. Nelle epoche denominate di passaggio, come quella che stiamo
vivendo, il pericolo consiste nel non coglierlo e nel non riuscire a intuire i
cambiamenti necessari per permettere alla propria struttura di rimanere dentro.
Che cosa, allora, dovrebbe cambiare nella modalità del prete cattolico di
esercitare il suo ministero? Ancora di più è possibile chiedersi: è proprio
necessaria questa figura nel nuovo quadro culturale e sociale che si sta
configurando?
Se è vero, come c’insegnano i
documenti della Chiesa e una lunga tradizione che deriva dai Padri della
Chiesa, che è l’Eucarestia che fa la Chiesa, allora occorre mettere le comunità
cristiane in grado di nutrirsi di essa. Nell’attuale contesto culturale è in
atto, da alcuni decenni, una progressiva e inarrestabile diminuzione del clero,
di coloro chiamati cioè a presiedere le comunità per celebrare l’Eucarestia. In
Italia, ma non solo, già da qualche anno sono in atto nelle Diocesi delle
proposte per arginare il problema. La più significativa è quella delle Unità
Pastorali, che vede il raggruppamento di alcune parrocchie affidate ad un solo
parroco. Con l’andare del tempo, questo nuovo modello di ristrutturazione delle
parrocchie non permetterà più alle comunità di avere la possibilità
dell’Eucarestia domenicale. Del resto, questo problema è già visibile nelle
parrocchie delle nostre montagne e in altri paesi come la Francia.
Perché non cambiare sistema? Se il
problema è permettere alle comunità cristiane di alimentarsi dell’Eucarestia
perché insistere con il modello del prete celibe e votato alla Chiesa per tutta
la vita? Perché non provare a proporre figure più al passo con i tempi, persone
che offrono un servizio limitato nel tempo? Si potrebbero ordinare persone
della comunità, di fede provata il cui carisma è riconosciuto dalla stessa
comunità. Che tipo di persone? Persone celibi o sposate, uomini o donne. Si
anche donne. E’ inutile, infatti, che la Chiesa continui a parlare di genio
femminile, se poi esclude le donne dalla possibilità di guidare una comunità.
Non può la Chiesa farsi da paladina della lotta contro le ingiustizie causate
dalle disuguaglianze sociali, quando esclude le donne dalla possibilità di far
parte dei quadri che dirigono le sorti della Chiesa. In fin dei conti si tratta
di mantenere viva la fede del Popolo di Dio e, di conseguenza, occorre fare di
tutto affinché i fedeli si alimentino del Signore.
Perché la Chiesa resiste così tanto
al cambiamento? Non è un problema di Vangelo, ma di potere. Abituata da secoli
ad essere significativa e incisiva in Occidente sul piano politico e sociale,
avere totalmente a disposizione un schiara di uomini celibi per tutta la vita,
qualificati e sottopagati, vuole dire molto. Togliere questo esercito di uomini
che firma un giuramento di totale obbedienza all’istituzione, significa
privarsi di quella struttura specifica che ha espresso il modo della Chiesa di
stare nel mondo. A mio avviso la Chiesa non rinuncerà mai a loro. Si terrà
stretta questa schiera di uomini celibi votati fino alla morte a Lei, sino al
momento in cui ne rimarrà uno solo. Chi è abituato a comandare, fa fatica ad
attorniarsi di persone con cui interloquire alla pari. Nel frattempo sarà la
base, il Popolo di Dio che si organizzerà per mantenere viva la fede. L’ho
visto fare in America Latina. Siccome il prete passa raramente nelle comunità,
sono le persone stesse che vivono in comunità che si organizzano per leggere
settimanalmente la Parola di Dio e celebrare alla domenica. La fede è più forte
di qualsiasi istituzione. Questo lavoro di base contaminerà anche la struttura
della Chiesa. Per ora, sarà importante modificare lentamente il cammino delle
comunità per metterle in grado di sopravvivere. In questo modo la notizia della
caduta del palazzo sarà meno rumorosa.
Per le Unità Pastorali, che avranno
la tendenza in futuro di aumentare di dimensioni, si potrebbe pensare ad una
figura che coordini il lavoro pastorale ed economico delle parrocchie
coinvolte. Mentre per la guida della comunità, scelta tra il popolo delle
comunità, si potrebbe pensare ad una remunerazione frutto del contributo della
stessa comunità, per i coordinatori delle Unità Pastorali, che potrebbero
essere svolti da laici debitamente preparati, si potrebbe pensare ad uno
stipendio con il contributo dell’otto per mille. In questo modo, si uscirebbe
dallo schema prevalentemente monastico della guida della comunità, che la vede
separata dal popolo di Dio, per uno più conforme alle esigenze del tempo. Due
figure, allora, si delineano nel cammino della Chiesa futura: quello del
presidente dell’assemblea eucaristica, che celebra l’Eucarestia e quello del
coordinatore delle Unità Pastorali. Queste figure pastorali esigono anche una
spiritualità nuova che le alimenti e cammini formativi differenziati. Se le
guide della comunità sono scelte tra coloro che vivono nella stessa e che
probabilmente sono sposate, la spiritualità dovrà rafforzare il significato e
il vissuto della vita matrimoniale. In questa prospettiva i seminari, così come
oggi sono concepiti, non saranno più necessari, perché la formazione delle
guide delle comunità avverrà all’interno della comunità stessa. Senza dubbio,
si potranno prevedere percorsi formativi specifici, ma la maggior parte del
percorso formativo è bene che sia realizzato nella comunità. Se fino ad ora la
figura della guida della comunità aveva nel celibato il segno di
un’appartenenza esclusiva a Dio e, per questo, viveva distante come stile di
vita dal resto della comunità, ora è sempre più richiesta una figura di guida che
condivida lo stile di vita della comunità.
Cambiando il tipo di figura della
guida della comunità, cambia anche la spiritualità. Un presidente
dell’Eucarestia preso fra il popolo e probabilmente sposato, non può
alimentarsi con una spiritualità di stampo monastico, com’è quella del prete.
La Chiesa dovrà provvedere ad elaborare una teologia laicale capace di andare
incontro alle nuove esigenze. Oltre a ciò, pensando anche a presidenti
dell’eucarestia donne, come del resto avviene da decenni anche in alcune chiese
protestanti, si dovrà sviluppare sempre di più una teologia femminista capace
di raccogliere le sfide dello sguardo femminile sulla realtà. Ci sarà, quindi,
bisogno di una spiritualità meno di élite e più incarnata nella vita della
gente. Probabilmente il tipo di teologia che elaborerà questo stile di Chiesa
incarnato in mezzo al popolo di Dio, sarà meno esigente, meno propensa a porre
dei pesi insostenibili alle persone – si pensi alla morale sessuale cattolica –
e più al passo con la vita della gente. Ci troveremo dinanzi ad un
cristianesimo che lavora meno sul sacro, ma avrà un volto più umano, molto più
simile, cioè, al Gesù dei vangeli. Il mondo scristianizzato della nostra epoca
post cristiana avrà la possibilità di vedere una chiesa più aderente al
Vangelo, più alla ricerca dell’essenziale che della pompa. Come in tutte le
cose e in tutte le istituzioni sociali e politiche, dallo stile dei capi si
capisce il valore di un’istituzione.
Grazie per quanto hai espresso nel tuo articolo. Grazie per la verità che hai lasciato emergere a piene mani. Grazie perché non ti sei tirato indietro. Grazie perché finalmente c'è qualcuno che torna a parlare come tentò di fare il Vaticano II. Grazie perché così voleva che si annunziasse il Vangelo il nostro Maestro Gesù.
RispondiEliminaGrazie, perché se vorrai, potrai fare leva anche su di me.
(...Nós nos encontraremos diante de um cristianismo que trabalha menos no sagrado, mas terá um rosto mais humano, muito mais semelhante, isto é, ao Jesus dos Evangelhos...)
RispondiEliminaEm nossa vivência, enquanto Comunidade Tapiramutense sempre fez assim. Humanidade/humanismo você tem de sobra!
Abraços...Saudades...