Paolo Cugini
L’opera della teologa catalana Teresa
Forcades[1]
fornisce diversi spunti significativi nel cammino della ricerca sul rapporto
tra omosessualità e chiesa. In primo luogo, la Forcades inserisce il discorso
sull’omosessualità all’interno della teologia queer, della quale è una delle
più importanti promotrici e sostenitrici. Queer è un concetto antropologico
utilizzato dalla Forcades per affermare il carattere unico e originale di ogni
individuo e: “l’affermazione
dell’impossibilità di utilizzare, nell’ambito della persona, qualsivoglia
categoria, che sia di genere, di classe o di razza. Le categorie che
classificano l’essere umano sono, per così dire, opacità, che non consentono di
vederlo nel suo tratto di originalità”[2].
Questo cammino teologico intende fare
i conti con la diversità sessuale senza esprimere nessuna condanna a priori,
per aprirsi ad ogni possibile comprensione. Punto di partenza di questa
riflessione teologica è la percezione dell’identità della persona intesa non in
modo statico, ma dinamico. Il riferimento di questa intuizione è l’idea di creazione
continua. Essere creati ad immagine e somiglianza di Dio, significa assumere la
responsabilità di collaborare all’opera della creazione, che è in continuo
divenire. In questa prospettiva, l’identità personale non è un dato acquisito
una volta per tutte, ma una possibilità che ci viene offerta. Adulti si diventa
grazie ad una costante assunzione delle proprie responsabilità e alla capacità
di porsi in modo libero e creativo dinanzi alle strutture culturali, che
assimiliamo e che ci fanno credere di essere in un modo invece che in un altro.
“Uomini e donne – sostiene Forcades – sono chiamati ad avventurarsi in un
processo personale che li porta in uno spazio che io chiamo queer, uno spazio
aperto in cui l’identità è da cercare, non è qualcosa di già dato”[3].
Il fato che la differenza sessuale
sia un dato transculturale, non significa che una persona deve rimanere
all’interno di questa identificazione iniziale. Secondo Frocades, l’errore
della società patriarcale e di un certo tipo di femminismo, è pensare che
quell’origine debba rimanere costante nel corso della vita. Ciò significa che
il punto di partenza ha un genere, mentre il punto di arrivo no. “La mia identità infantile ha un genere
(femminismo della differenza); la mia identità matura (o cristica) è
transgender o queer”[4].
C’è quindi, un cammino, un esodo che ogni persona è chiamata a compiere se
vuole divenire pienamente umana, un cammino che si realizza durante tutta la
vita. Essere adulto significa cammino in divenire, vincendo la tentazione di
fissarsi su di un modello culturale identitario, per mantenersi aperti alla
novità possibile. In questa prospettiva la diversità, lungi dall’essere un
problema o una difficoltà, diviene una possibilità. Dobbiamo conquistare la
nostra identità tutti i giorni.
Nel capitolo dedicato al tema del
rapporto tra fede e gender, Forcades fa appello al senso della realtà, nella
linea indicata da Papa Francesco nell’Evangeli Gaudium. Se parlare di gender
significa prendere in considerazione la comprensione culturale e soggettiva
della sessualità, allora quando sul piano della realtà s’incontrano delle
differenze, sono proprio queste che vanno ascoltate. Non può più accadere, come
invece purtroppo accade soprattutto in questo ambito così delicato, che sia la
teoria a interpretare e a leggere la realtà. Quando in gioco ci sono le persone,
il primato dev’essere sulla realtà e non il contrario. La teoria dev’essere il
momento successivo all’ascolto della realtà. Se, allora, è vero che esistono
tre dimensioni del sesso biologico, vale a dire il sesso cromosomico, il sesso
gonadico e quello genitale, già al primo livello la realtà manifesta che non vi
sono solo due possibilità xx (femmina) e xy (maschio), ma diverse opzioni.
Seconda Forcades anche se esistesse una sola persona al mondo dotata di una
differenza cromosomica, sarebbe sufficiente per mettere in discussione la
teoria. Dinanzi all’unicità della persona umana non c’è teoria che tenga, ma è
questa che provoca le domande di senso. Non è, infatti, la persona per così
dire diversa, che deve adattarsi alla teoria, ma è la teoria che dev’essere
modificata a partire dalla diversità osservata. Le sindromi di Klinefelter
(xxy) e di Turner (x0) dimostrano che nella realtà, in natura non tutto rimane
collocato nella dicotomia maschile e femminile, provocando la domanda: sono
femmine o maschi?
Questa diversità, che va al di là
della dualità, non esiste solamente a livello cromosomico, ma anche a livello
gonadico. Succede, infatti, che a volte uno abbia senza saperlo, una gonade che
al tempo stesso è tessuto ovarico e tessuto testicolare. “Non volgiamo vedere la complessità della realtà che ci circonda, ma è
importante prenderne visione affinché la nostra teoria ne tenga conto”[5].
Anche a livello genitale esiste la diversità, che non è possibile catalogare
entro la dualità maschio e femmina. Forse, comunque, il livello più complesso è
quello psicologico. Ci sono persone che, pur avendo un sesso biologico maschile
a livello cromosomico, gonadico e genitale ed essendo considerati quindi dalla
società maschi, hanno una coscienza femminile e viceversa: questo è il
transessualismo. Spesso questa realtà, sostiene Forcades, la si ignora perché è
difficile affrontarla. I cristiani, però, non possono chiudere gli occhi
dinanzi alla realtà e non possono fasciarsi la testa dalle teorie culturali
della società in cui vivono, perché sono ristrette e non tengono conto
dell’interesse del singolo individuo. Sempre sul piano psicologico è importante
tener conto di quello che avviene a livello del desiderio. Può succedere,
allora, che emerga un desiderio verso una persona dello stesso sesso. Una
teologia che si mantenga aperta alla realtà come manifestazione del divino, non
può immediatamente ricorrere alla teoria del peccato quando appare una
differenza, ma deve porsi in ascolto della complessità e non chiudersi nelle
facili semplificazioni teoriche. Troppe volte il desiderio verso una persona
dello stesso sesso è stata considerata come patologia. “Certo sono diverse dalla maggior parte delle
persone – nel modo in cui le intendiamo normalmente – ma questo non significa
che dobbiamo leggere questa differenza in modo negativo […] Alcune di queste
persone non hanno complicazioni mediche e conducono una vita pienamente
compiuta, stanno bene e non presentano problemi se non quelli di carattere
sociale, dal momento che spesso non vengono accettate”[6].
La grande sofferenza delle persone
omosessuali non è, dunque, causata da problemi di tipo medico o psichiatrico,
ma sociale, vale a dire, dal fatto che la struttura patriarcale e maschilista
della nostra società non accetta la differenza sessuale, la complessità della
realtà, rifiutandosi così di ascoltarla, accompagnarla, integrarla. A detta
della Frocades, il cui impegno in campo politico si è profuso su diversi temi,
la comprensione della complessità della realtà dovrebbe allo stesso tempo
condurre ad un cambiamento non delle persone così dette diverse, ma della
società nel suo insieme, per fare in modo che nessuno si senta escluso.
Prendere sul serio la problematica
delle persone omossessuali in un contesto sociale com’è quello occidentale
fortemente omofobo, comporta di non rimanere solamente sul piano della
tolleranza, o dell’accoglienza, ma esige passi sempre più chiari verso
l’integrazione delle persone omosessuali sia sul piano giuridico che religioso.
Interessanti sono, a questo proposito, le riflessioni che la Forcades propone
per motivare il suo essere a favore del matrimonio omosessuale. L’idea di
complementarietà che solitamente viene utilizzata per spiegare il senso del
matrimonio non solo cristiano, secondo la nostra autrice non funziona, perché
esprime in malo modo il senso autentico dell’amore. Il concetto di
complementarietà, è infatti secondo al Forcades, la riduzione del concetto di
amore che deriva dalla prospettiva binaria. Amare una persona non può voler
dire cercare una persona che ci completi. Per cogliere in profondità il
significato autentico dell’amore occorre uscire dagli stereotipi che provengono
dalle semplificazioni della visione binaria della sessualità, ma occorre, in un
certo senso, abitare la complessità. Teresa Forcades, a questo proposito,
utilizza la riflessione elaborata durante il lavoro di dottorato svolto sul
tema della Trinità. Dove possiamo trovare il significato autentico dell’amore
di Dio se non osservando da vicino il mistero della Trinità? E’ allora, a
questo mistero che dobbiamo rivolgere la domanda sul significato dell’amore
umano e non alla dottrina della Chiesa. L’amore trinitario non ha nulla a che
vedere con la complementarietà. “Il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono tre persone distinte: questo è il
centro del pensiero trinitario nella storia. Sono differenti, ma non nel senso
di uno che completa l’altro”[7].
Amare, in questa prospettiva trinitaria, non significa andare alla ricerca di
qualcosa che ci manca e quindi ci completa. Dio non ci ama perché ne ha
bisogno, per completarsi: la gratuità è centrale nell’amore trinitario e nel
cristianesimo in generale. Per comprendere meglio il senso dell’amore
trinitario Forcades fa appello ad un termine teologico: pericoresi, che
significa fare spazio intorno. L’amore trinitario come amore pericoretico,
produce spazio intorno alle persone. In questa prospettiva è comprensibile come
l’amore autentico non solo esige, ma produce libertà per la persona amata. “Percepisco che qualcuno mi ama quando sento
che nella relazione, accanto a quella persona, lo spazio attorno a me si
amplia. In questo tipo di relazione posso anche essere me stessa in qualcosa
che ancora non so di me, si schiude uno spazio nuovo attorno a me in cui oso
entrare. Questo spazio è la migliore definizione dell’amore”[8].
Amare significa fare spazio
all’altro, in modo tale da permettergli di essere ciò che deve essere. Tutte le
volte che la relazione si chiude nella complementarietà duale, rischia di
collassare. La dinamica della pericoresi garantisce all’amore un dinamismo
creativo. E’ per questo motivo, per il modo d’intendere l’amore, che la
Forcades afferma di essere a favore del matrimonio omosessuale. Non basta
smettere di discriminare o diventare tolleranti nei confronti delle persone
omosessuali. Occorre avere il coraggio di compiere un passo ulteriore. “Sono a favore del sacramento dell’amore fra
due persone sia etero sia omosessuali, a patto che fra di loro vi sia un amore
autentico fatto del riconoscimento di quello spazio che circonda ogni persona e
la comprensione che il matrimonio riguarda anche la comunità nella quale vivono”[9].
Uscire dallo schema della sessualità
duale, imposto dalla cultura incapace di elaborare un pensiero a partire della
realtà che si manifesta nella sua complessità, permette di elaborare proposte
sino ad ora impensabili. Elaborazione concettuale, che diviene significativa
perché non sgorga dal nulla, ma dalla riflessione sull’amore pericoretico, così
come si manifesta nel mistero della Trinità. In ogni modo, la Forcades non si
ferma alla possibilità del sacramento del matrimonio per le persone
omosessuali, ma arriva persino a criticare il matrimonio eterosessuale. Se,
infatti, la santità appartiene a Dio, allora l’amore santo prima di provenire
da una relazione di complementarietà, si manifesta in quelle relazioni in cui
l’amore non è un bisogno, ma una possibilità che offre spazio per un cammino di
autenticità. C’è dunque santità anche nell’omosessualità. “L’omosessualità in sé non è più santa dell’eterosessualità, né vale il
contrario, ma per il solo fatto che esiste (a prescindere dalla qualità morale
della singola persona omosessuale) è una benedizione e apre alla diversità in
un modo che arricchisce la nostra ricerca teologica”[10].
Affermazioni forti, che dicono di una chiarezza di
vedute sul tema del delicato rapporto tra Chiesa e omosessualità, in linea con
le argomentazioni sopra riportate. Senza Dubbio per la Forcades l’omosessualità
prima di essere un problema è un dono, perché permette alla Chiesa e
all’umanità un punto di vista differente per osservare il proprio cammino nella
storia e, in questa prospettiva, l’arricchisce di nuovi significati.
[1] Teresa
Forcades è una suora di Barcellona, medico e con un dottorato in teologia.
Insegna da alcuni anni Teologia queer a Berlino. Si è impegnata molto nel suo
Paese nella lotta contro le multinazionali farmaceutiche. E’ a favore della
separazione della Catalogna dalla Spagna e, per questo, è entrata per alcuni
anni in politica. E’ autrice di diversi libri sia su temi di medicina che di
teologia.
[2]
FORCADES, T., Siamo tutti diversi. Per
una teologia queer, Castelvecchi, Roma 2016, p. 56-57
[3] Ivi. P.
71
[4] Ivi., p.
72. Sul tema cfr. FORCADES, T., La
teologia femminista nella storia. Il ruolo delle donne e il diritto
all’autodeterminazione femminile, Nutrimenti, Roma 2015
[5] Ivi., p.
120
[6] Ivi. P.
122. Su questa riflessione cfr. anche: FORCADES, T., Fede e libertà, Castelvecchi, Roma 2017, p. 69-71
[7] Ivi., p.
123
[8] Ivi., p.
33
[9] Ivi p.
125
[10] Ibidem
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