domenica 21 aprile 2024

POVERI CHE AIUTANO POVERI

 

 

 

Paolo Cugini

Da circa un anno la Caritas della parrocchia san Vincenzo di Paolo, in cui sto svolgendo il ministero, organizza una volta al mese un pranzo per coloro che abitano per strada, che non hanno casa. È una goccia nell’oceano di povertà che circonda il territorio della nostra parrocchia: ne siamo consapevoli. In ogni modo è un segno, nel senso che, con questo piccolo gesto, desideriamo implicitamente comunicare che li vediamo, sappiamo quanto soffrono e, per quello che possiamo, ci siamo. In realtà non si tratta solo del pranzo, ma anche della colazione e della distribuzione di indumenti.  Inoltre, la Caritas una volta al mese, nello stesso giorno in cui realizza il pranzo, visita quelle famiglie che abitano sotto il ponte di Manaus, una zona che fa parte della nostra parrocchia.

I cuochi della Caritas parrocchiale

Sabato 20 aprile ho partecipato alla giornata Caritas e sono rimasto impressionato da alcuni dati. Ho potuto constatare che coloro che operano il servizio Caritas sono tutti poveri, cioè, sono persone della stessa fascia sociale di coloro che vengono raggiunti dalla Caritas. Alcuni di questi volontari Caritas, infatti, sono già stati aiutati per pagare l’affitto, o con una borsa della spesa. Si tratta, quindi, di poveri che aiutano altri poveri. Senza dubbio quelli che arrivano per partecipare al pasto Caritas sono più bisognosi di coloro che fanno questo servizio, ma si tratta pur sempre di poveri. Il secondo dato che mi ha veramente impressionato è la situazione di grande indigenza di coloro che abbiamo visitato sotto il Ponte di Manaus o nelle vicinanze del ponte. Una miseria così grande l’avevo vista solo a Bologna (hai letto bene, si tratta della Capitale dell’Emilia-Romagna, prima nella lista per lo stile di vita in Italia), quando visitavo il campo nomadi situato nel parco adiacente all’Ospedale Maggiore. Sono situazioni come queste che, quando le si incontra, si rimane sbigottiti, senza parole, pervasi da un senso d’impotenza, provocati a pensare che sembra non esserci limite alla disumanità di coloro che arraffano tutto quello che possono e se ne infischiano di coloro che non possono nemmeno mangiare le briciole sotto il tavolo dei ricchi sfondati.

Le baracche nei pressi del ponre di Manaus



Il comune di Manaus ogni giorno elargisce pasti per i poveri in due punti della città. Non li distribuisce gratis, ma esige un real, che corrisponde a 20 centesimi di euro. Un gesto simbolico per dire che non offre il pasto gratis. Pasto che la persona che lo desidera deve arrivare alla mattina alle 9 per prendere il biglietto d’iscrizione e poi ripassare alla 12. Strategia utilizzata dal comune per scoraggiare i furbi di turno che, pur di mangiare a sbafo, si intrufolano nella coda dei poveri. Il comune, dunque, fa qualcosa, anche se la domanda è amplissima. Manaus è, infatti, una città del paese più diseguale del mondo. È questo che emerge dai recenti dati divulgati dal sito Unisinos dell’università di San Leopoldo nel Sud del Brasile, che ha organizzato un Master sulla realtà sociale dell’America Latina. Circa 20 milioni di persone in Brasile vivono nelle favelas, che si trovano un po' dappertutto nel territorio brasiliano. Eppure, il Brasile è l’ottava potenza economica del Pianeta e potrebbe tranquillamente piazzarsi sul podio, considerata la grande ricchezza di materie prime e il tessuto industriale del paese. Nel continente sudamericano, più che in altri punti del Pianeta, è visibile il risultato devastante del modello neoliberale, che continua ad arricchire pochi e impoverendo la maggior parte della popolazione.

Incontro del Movimento Fede e Citadinanza

Proprio per seguire le indicazioni della dottrina sociale della Chiesa, che non solo offre pasti caldi per i poveri, ma cerca di smantellare le cause della povertà, nella parrocchia San Vincenzo de Paulo, è sorto il comitato Fede e Cittadinanza. Nello stesso sabato del pasto Caritas, alla sera il gruppo Fede e Cittadinanza ha organizzato un evento in cui sono stati invitati il Promotore di Giustizia Flavio Mota e l’avvocato Carlo Santiago, per presentarci e spiegarci le leggi contro la corruzione elettorale presenti in Brasile. Quest’anno, infatti, è anno di elezioni municipali e, nelle città brasiliane, vengono eletti sindaci e assessori comunali. Sono elezioni molto disputate, perché nelle casse dei municipi arrivano i soldi per l’infrastruttura, l’educazione, la salute delle città e, di conseguenza, chi arriva al potere dovrà amministrare molti soldi. Non a caso il Paese più disuguale del mondo è uno dei paesi più politicamente corrotti. Dove c’è povertà c’è corruzione.

Il promotore di giustizia Flavio mota e l'avvocato Carlo Santiago


Il lavoro pastorale che il Movimento Fede e Cittadinanza è chiamato a svolgere consiste in primo luogo formare i cittadini sulle leggi del Paese contro la corruzione elettorale e, in secondo luogo, vigilare affinché i candidati agiscano sul nostro territorio parrocchiale conforme alle leggi. Sia il promotore di giustizia che l’avvocato presenti all’evento, ci hanno ricordato che il lavoro di coscientizzazione che la parrocchia si presta ad iniziare in questo anno di elezioni municipali non sarà facile e tranquillo, ma occorrerà attrezzarsi di molta pazienza e prudenza. Speriamo il bene.

 

sabato 20 aprile 2024

A MANAUS I POPOLI INDIGENI SI RIUNISCONO PER RIVENDICARE I LORO DIRITTI

 



Una grande mobilitazione di popoli indigeni e della società civile ha riunito venerdì 19 aprile, entità e organizzazioni, nel centro di Manaus. L'atto unificato avviene nella Giornata nazionale dei popoli indigeni. Con il tema “Il nostro punto di riferimento è ancestrale: siamo sempre stati qui”, l’evento ha riunito membri e leader di varie etnie in Amazzonia.

Tra le richieste dell'atto c'è stato il ripudio della licenza concessa dall'Istituto di Protezione Ambientale dell'Amazzonia – IPAAM, per l'esplorazione del Potassio, nel comune di Autazes, nell'interno dell'Amazzonia, come sottolineato dalla studentessa indigena Izabel Munduruku. La mobilitazione ha affrontato anche questioni come la delimitazione delle terre indigene, la salute dei popoli tradizionali e la conservazione della foresta amazzonica, come ha sottolineato Joehdi Sateré, membro dell’Articolazione delle Organizzazioni e dei Popoli Indigeni dell’Amazzonia – Apiam. Studenti e insegnanti indigeni hanno discusso i punti che considerano importanti nella creazione dell'Università indigena da parte del governo federale. L’atto è stato coordinato dall’Articolazione delle Organizzazioni e dei Popoli Indigeni dell’Amazzonia – Apiam e dal Coordinamento dei Popoli Indigeni di Manaus e Dintorni – Copime.



I vari interventi avvenuti durante l’evento hanno provocato una riflessione sul tema dell’emergenza climatica, “perché la terra è malata”. Non sorprende che durante la Settimana e il Mese dei Popoli Indigeni siamo sollecitati a guarire la terra. Questa malattia ha le sue radici nel nostro modello di società, come spesso ci ricorda Papa Francesco. La ricerca del profitto ci porta allo sfruttamento economico della terra e delle sue risorse, sprezzando i limiti della natura. Questa logica occidentale, che concepisce la natura come una fonte inesauribile di risorse, va contro la saggezza ancestrale dei popoli indigeni. Lo sfruttamento sfrenato, che sta ammalando le nostre acque, l’aria e le foreste, provoca impatti ambientali che colpiscono l’intera società. La saggezza e la territorialità di queste persone ci avvisano di un’emergenza climatica, già sentita da tutti (pioggia eccessiva, totale mancanza di pioggia). È un dato di fatto che dobbiamo guarire la terra. In questo senso comprendiamo l’immediata necessità di ripensare collettivamente la logica sociale della produzione e del consumo. Ma è possibile curare la terra senza ricorrere ai saperi ancestrali dei popoli indigeni?

Durante la marcia molti leaders di popoli indigeni hanno preso la parola riflettendo su questi temi così importanti.



Marcivana Sateré-Mawé, coordinatrice generale del Coordinamento dei Popoli Indigeni di Manaus e Dintorni (Copime), ha dichiarato che il 19 è una data per la resistenza.

"Il nostro atto è in difesa dell'Amazzonia contro tutti i mega progetti di esplorazione che mettono a rischio i nostri territori. Abbiamo diverse persone che gridano in difesa della madre terra, per le nostre vite e anche per il futuro delle nostre generazioni. Vogliamo il riconoscimento, il rispetto e, soprattutto, che i nostri diritti garantiti dalla Costituzione federale siano rispettati", ha affermato Marcivana che, quando parla di difesa dei territori, considera anche i rischi a cui va incontro l’intero pianeta, dovuti principalmente ai cambiamenti climatici.

Marcivana ha continuato la sua riflessione affermando che: "Per la società di Manaus non dovrebbe essere una lotta solo per le popolazioni indigene. Quando si parla di difesa dei territori, della vita, del pianeta e dell'ambiente. Ciò che sta accadendo non mette a rischio solo la vita delle popolazioni indigene, ma vita dell’intero pianeta A Manaus, e in tutta l’Amazzonia, siamo i primi a sentire gli effetti di questi cambiamenti climatici, spesso causati da progetti di morte”.



Maisangela Sateré-Mawé, rappresentante del Consiglio generale della tribù Sateré-Mawé e vicecoordinatrice della rete giovanile, ha affermato che i giovani dell'etnia vogliono che venga rispettata la loro identità.

"Ci sono molte violazioni dei diritti riguardanti la nostra lingua materna, la cultura, i dipinti e gli ornamenti. Che il rispetto rimanga e ci rispettino come siamo: popoli originari".

Nira Mura, leader del quartiere di Tarumã, ha manifestato la lotta per il riconoscimento delle proprie terre.

"Non abbiamo più diritti sulle nostre terre. I bianchi vengono e si prendono tutto e noi non abbiamo il diritto di rimuovere un bastone se vogliamo. Perché non abbiamo più diritti? Il governo non vuole andarsene piantando e raccogliendo. Volevo che il governo guardasse al nostro popolo. Soffriamo molto con i bambini vittime di bullismo nelle scuole".



Claudineia Tariane, membro del gruppo Indigenous Teacher Training (FPI) della Bassa Amazzonia, era presente all'evento dedicato all'estrazione mineraria nelle terre indigene.

"Dire no all'estrazione mineraria e anche lottare per i nostri diritti territoriali. Nell'istruzione è una sfida. Siamo la Uram (Università Federale dell'Amazzonia) nel corso di laurea indigeno, ma è arrivato con molta lotta collettiva da parte dei popoli indigeni. Manca ancora un maggiore accesso e l'interculturalità è alla nostra portata".

 

 

giovedì 18 aprile 2024

PERCHÉ LA RELIGIONE STA SCOMPARENDO NEL MONDO OCCIDENTALE?

 




 

Paolo Cugini

 

In questi primi mesi della missione a Manaus, capitale dello Stato dell’Amazzonia, incontrando per le strade del quartiere in cui vivo, che si chiama Compensa, oltre alle comunità cattoliche che accompagno, tantissime chiese evangeliche, penso che nessuno o quasi nel popolo brasiliano sia senza religione. Anche coloro che, infatti, non frequentano una chiesa specifica, esprimono una fede in Dio. Questo dato mi pone molte domande, tra le quali ce n’è una che, per certi aspetti, mi fa male, ed è questa: perché in uno dei paesi più religiosi al mondo, un paese che vede un grandissimo numero di chiese cristiane c’è così tanta povertà, così tanta disuguaglianza? I due dati sono legati? Il cristianesimo incide nei processi sociali in modo negativo? A questa prima domanda tenterò una risposta in un articolo successivo. Oggi cerco, invece di rispondere ad una seconda domanda.

Come mai in Occidente la religione sta scomparendo? È questa la sensazione che da alcuni anni si percepisce fisicamente, nel senso che è visibile il calo impressionante dei fedeli nelle chiese, dei genitori che chiedono il battesimo dei loro figli, dei giovani che cercano una chiesa per sposarsi. Anche il numero di funerali religiosi è calato in modo impressionante. Gli stessi seminari, un tempo gremiti di giovani desiderosi di divenire sacerdoti, vengono venduti, o imprestati, in ogni modo sono spazi evidentemente sproporzionati per l’esiguo numero di giovani che oggi li frequentano. Che cosa sta succedendo? Sembra che ci sia tutto un mondo, un modo di vivere nel mondo che ha segnato secoli di storia occidentale, che è il mondo religioso modellato dal cristianesimo nelle sue varie forme e, in modo specifico, il cattolicesimo, stia andando a rotoli e, il dato più impressionante è che questo cambiamento epocale stia avvenendo in modo rapidissimo.



La domanda provocante a questo punto è questa: perché? Perché sta succedendo? Perché la religione sta morendo nel mondo occidentale?  Più che la religione con le sue sfumature, sta morendo un modo di rappresentare Dio, un modo di vivere la relazione dell’uomo e della donna con Dio, quel modo che, nel mondo Occidentale, è stato presentato dal cattolicesimo. Che cosa in fin dei conti viene rifiutato attualmente della forma religiosa occidentale, perlomeno, così come si è manifestata nel tempo?

Prima di tutto l’istituzione. C’è chiaramente un rifiuto del modo autoreferenziale in cui la Chiesa ufficiale si pone. La cultura post-moderna, segnata da un pensiero debole (Gianni Vattimo) e dalla modernità liquida (Zygmunt Bauman) rimane indifferente dinanzi a pronunciamenti unidirezionali e a manifestazioni ufficiali di sapore medievale, come i pontificali e lo sfarzo ostentato di indumenti che non riescono a comunicare i contenuti che vorrebbero. La Chiesa non ha saputo attualizzare il suo modo di celebrare i misteri in un contesto come quello in cui viviamo, nel quale l’immagine è quasi tutto. Infatti, lo spettacolo offerto è antiquato e puzza di roba vecchia. Le nuove generazioni sono alla continua ricerca di messaggi nuovi, capaci d’intercettare i loro desideri e non trovano per nulla attraente il messaggio sbiadito e ammuffito della Chiesa. Piviali, cotte, sottane, pizzi, turiboli e altre suppellettili del genere, più che essere elementi che contribuiscono a esprimere un mistero, nell’attuale contesto culturale provocano più che altro ripugnanza e derisione. Il problema, a questo punto è il seguente: come mai coloro che guidano questa secolare istituzione non se ne accorgono? Sembra la storia del re nudo.



In secondo luogo, va sottolineata l’incapacità dell’istituzione Chiesa di dialogare con la modernità. Sui temi più importanti dell’attualità, come il tema del genere, dell’omosessualità, ma anche dell’eutanasia e altro, la chiesa cattolica presenta gli stessi argomenti che avrebbe presentato al tempo di San Tommaso, vale a dire nel XIII secolo. La Chiesa è rimasta lì e sembra non volersi schiodare dal suo passato glorioso. Del resto, nella Fides et ratio,  un documento ufficiale del 1998, quindi abbastanza recente, l’allora pontefice Papa Giovanni Paolo II affermava che, ancora oggi, la teologia ufficiale della Chiesa cattolica è il tomismo, vale a dire la teologia elaborata da santo Tommaso d’acquino, morto nel 1274. Quella stessa istituzione che nel 1832 nell’enciclica Mirari vos  di papa Gregorio XVI condannava sia la libertà di coscienza che la libertà di stampa, oggi vuole sostituirsi alle coscienze delle singole persone su temi cruciali che esigono la libertà di coscienza. Questa autoreferenzialità il mondo postmoderno non l’accetta. Il dato significativo è che, mentre sino a qualche decennio fa, chi la pensava diversamente dalla Chiesa cattolica contestava con argomentazioni, oggi, dinanzi alle prese di posizione della Chiesa, la risposta è il disinteresse o, al massimo, l’ironia.

Un’ultima osservazione. Per tutto quello che sta avvenendo nell’istituzione cattolica, quello che il mondo fa fatica a vedere è la presenza dei contenuti del Vangelo di Gesù. Può sembrare un giudizio duro, ma è quello che si vede, si sente, si ascolta. Il Vangelo è un messaggio semplice, che le persone semplici comprendono. È un messaggio di pace in un mondo di conflitti. È un messaggio di giustizia in un mondo devastato dalla corruzione. È un messaggio di uguaglianza in un mondo in cui le disuguaglianze sono sempre più stridenti. Il Vangelo è il messaggio di Gesù che da ricco che era si fece povero per condividere con i poveri la sua ricchezza, mentre l’immagine che la chiesa offre nei suoi pontificali, nei suoi palazzi, nei suoi principali rappresentanti è quella di essere un’istituzione che vuole contare e non vuole mollare il potere. Questo si vede, si sente, si percepisce.

 

sabato 13 aprile 2024

In cammino verso le Veglie di preghiera di Maggio per il superamento della violenza dell'omotransfobia

 





11 gennaio 2024, Napoli: al termine di una serata al bar, due ragazze trans sono avvicinate da cinque individui appena conosciuti che le trattano con violenza. L’avventura finisce al Pronto Soccorso, dove una delle due denuncia lo stupro che le hanno fatto subire“. Questo è uno dei primi episodi di transfobia registrati nel 2024 sul sito omofobia.org, curato da Massimo Battaglio, a cui sono seguiti tanti altri episodi di violenza omotransfobica.

 

Ecco perché anche quest’anno a maggio, come accade dal 2007, nel mese di maggio, in occasione della giornata contro l’omotransfobia, i cristiani di diverse comunità cristiane veglieranno insieme ai credenti LGBT+ e ai loro familiari per il superamento della violenza e della discriminazione delle persone lesbiche, gay, bisex e transgender e non solo (LGBT+)

Scrive la pastora valdese Daniela Di Carlo che veglieremo perché "sogniamo che la violenza di genere non farà più parte della nostra vita. Mentre lavoriamo, insieme, per il giorno nel quale nessuna donna venga uccisa, nessun gay rifiutato dalla famiglia, nessun transessuale preso a calci, preghiamo e iniziamo a costruire, con l’aiuto di Gesù Cristo, quel mondo possibile fatto di pace e amore".

"Partecipare a queste veglie", aggiunge il sacerdote cattolico don Paolo Cugini "significa ... lasciarsi plasmare dall’amore del Signore, che ci aiuta a vedere fratelli e sorelle là dove l’ignoranza ci mostra dei nemici".

In occasione delle veglie la Commissione Fede Genere Sessualità delle chiese battiste, metodiste e valdesi e della REFO ha realizzato anche un sussidio liturgico, mentre l'associazione La tenda di Gionata ha stampato, con il contributo dell’Otto per mille della Tavola Valdese,  due libretti che potranno essere richiesti e ricevuti gratuitamente da tutte le realtà cristiane che organizzeranno un momento di veglia o un culto domenicale sul tema per distribuirli ai partecipanti.

 

Il primo libretto intitolato Anche noi non abbiamo un sogno, con le sue 36 pagine di testimonianze, riflessioni e esperienze, introdotte da una prefazione della pastora Di Carlo, vuol raccontare questa iniziativa ecumenica nata dal basso e lanciare un invito a continuare questo cammino “per essere vicino a chi deve lottare ogni giorno contro la violenza dell’omotransbifobia”.  Da scaricare e leggere su https://www.gionata.org/anche-noi-abbiamo-un-sogno/ 

 

L'altro libretto intitolato “Con lo sguardo di Dio. L’amore senza confini dei genitori di persone LGBT+” è una raccolta di testimonianze di genitori cristiani con figli LGBT+ che raccontano il loro l'accidentato cammino d’amore dopo il coming out dei figli, che parte dallo stupore e dalla paura per giungere sino all’accettazione incondizionata dei propri figli LGBT+, perché «nessun viaggio è troppo lungo per chi ama». Da scaricare e leggere su https://www.gionata.org/con-lo-sguardo-di-dio-lamore-senza-confini-dei-genitori-di-persone-lgbt/

 

Le realtà che vorranno distribuirli al termine delle loro veglie o culti domenicali potranno richiedere delle copie gratuite (sino a esaurimento) a tendadigionata@gmail.com

Per saperne di più sulle veglie 2024 basta cliccare su www.gionata.org/inveglia/ o scrivere a a incontri@gionata.org . 

E tu veglierai con noi? Ti aspettiamo

 

IL VERSETTO DELLE VEGLI 2024> “Siate forti, fatevi animo, non temete e non vi spaventate di loro, perché il Signore, tuo Dio, cammina con te; non ti lascerà e non ti abbandonerà” (Deuteronomio 31:6)

 

LITURGIA per le veglie e i culti domenicali 2024file PDF > file Word.

 

venerdì 12 aprile 2024

IL GRANDE ERRORE

 



 

Paolo Cugini

 

Aver identificato il rito con la fede: è questo il grande errore. Aver identificato il cammino di fede, che esige un cammino di conversione, un cambiamento di mentalità, con la partecipazione al rito: è stata questa la grande bestemmia che è stata prodotta e riprodotta nei secoli. Un tempo ci credevano tutti – ci ho creduto anch’io-, nel senso che tutti pensavano che fosse proprio così. Secoli e secoli di messe domenicali, hanno fatto credere che per andare in paradiso, che rappresenta un altro grande problema d’interpretazione, bisognava andare a messa alla domenica e, il non andarci, significava cadere in peccato mortale e, di conseguenza, la necessità di confessarsi per non rischiare di aggiungere peccati su peccati. Anche perché a quel tempo, che in realtà è l’altro ieri, di preti ce n’erano a bizzeffe, per lo meno in Occidente, nel continente cristiano. I seminari erano pieni di bambini e di ragazzi, ed erano pieni perché c li mandavano i genitori. Le numerose famiglie cattoliche regalavano volentieri alla chiesa un figlio maschio o una figlia al seminario o al convento. Il mondo era tutto cattolico ed avere in famiglia un prete o una suora era un onore e non una vergogna come ai nostri giorni.

Dicevo che c’erano tanti preti e, di conseguenza, era possibile un certo tipo di pastorale che poneva il prete al centro del discorso. La pastorale, infatti, nasce dalle esigenze del momento, dai problemi incontrati, dal contesto specifico. Non ci si deve meravigliare, dunque, se nel corso della storia le scelte pastorali cambiano e se in un lugo si agisce in modo differente da un altro. C’è stato, dunque, un tempo in cui ci si poteva permettere il lusso d’inventare che, il non andare a messa, fosse un peccato mortale e che, per accedere nuovamente al banchetto eucaristico, fosse necessaria la confessione sacramentale, che non costava nulla, vista la quantità industriale dei preti a disposizione. Ce n’erano così tanti, ma così tanti che un giorno, negli anni ì50 del secolo scorso, un vescovo in visita ad un seminario del Nord Italia nella Regione dell’Emilia-Romagna, in quella città che rimane tra la Pilotta e la Ghirlandina, disse con tono sconsolato al rettore: “e dove li metteremo tutti questi futuri preti?”.

Ce n’erano così tanti di preti da far credere che davvero Gesù avesse inventato la chiesa al maschile, che davvero le donne servivano solo per lavare la biancheria dei preti e delle sacrestie, perché, come si diceva a quei tempi che, in realtà era ieri pomeriggio, è stata la donna a mangiare la mela e a darla poi all’uomo. Tutto un mondo, una cultura, una spiritualità, ma anche un’economia e, perché no, una pedagogia è stata costruita su questa abbondanza spaventosa – in tutti i sensi – di preti. Quello che viene chiamato patriarcato ha fornito il substrato culturale per il diffondersi di pratiche ecclesiali, spacciate per oro colato dal Vangelo, mentre, in realtà, si trattava di scelte pastorali, anche se di pastorale in senso stretto c’era ben poco, perché si trattava d’imposizioni vere e proprie dettate dall’alto e, in altro, a quel tempo, c’erano loro: i preti. Si è fatto credere, e tutto un mondo ci ha creduto per secoli, che l’uomo fosse superiore e la donna inferiore e, per questo, solo gli uomini potevano entrare nei seminari e diventare preti.

Il problema, se così possiamo parlare, è che si è creduto che questa sovrabbondanza di preti fosse un dono della provvidenza. Poi si è scoperto che non era proprio così, che in diversi casi la provvidenza divina c’entrasse poco o nulla, anzi! Questo errore di valutazione è stato il problema, l’inizio dei problemi. Si è chiaramente confuso la quantità con la qualità. Ne hanno sfornati così tanti, da non permettere alcun tipo di lettura differente. Tanti preti hanno voluto dire per secoli tante messe, a tutte le ore del giorno. Tante messe, moltissime messe, sempre più messe ha fatto credere che il centro di tutto, il centro della religione cristiana fosse il rito e non il contenuto. Per questo per secoli si sono prodotte tantissime messe in cui la stragrande maggioranza dei fedeli partecipava senza capire assolutamente nulla. Del resto, non ce n’era bisogno di comprendere, perché chi portava in paradiso era la messa, il rito e non il contenuto, che avrebbe potuto provocare dei cambiamenti di comportamento o, addirittura, dei cambiamenti culturali.  

Eppure, il discorso di Gesù all’inizio del Vangelo era chiaro, anzi, chiarissimo, al punto da non dare adito ad alcun tipo di fraintendimento. e diceva: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo" (Mc 1,15). Più chiaro di così! Non c’è nemmeno bisogno di chiamare un interprete, un esegeta: è tutto molto chiaro. Del resto, il Vangelo è scritto per le persone semplice ed è, quindi alla portata di tutti. L’invito è all’accoglienza del Vangelo e alla disponibilità al cambiamento, per permettere allo Spirito del Signore di modellare la nostra umanità, per fare in modo che i tratti dell’umanità di Gesù, del suo modo di essere nel modo, del suo stile non-violento, della sua capacità di accogliere tutti e tutte senza escludere nessuno, siano riprodotti in noi. È di questo che avevamo bisogno! È di questo che il modo aveva sete e continua ad averne! Certamente, lo si capisce bene che il rito è più facile, che una quantità di riti da ascoltare è più facile che essere disponibili a cambiare idea, a modificare il proprio modo di essere e di pensare. È più facile pensare e far credere che se tieni le manine in un certo modo e ti inginocchi in un altro Gesù è contento. Più difficile è smettere di essere disonesto. Difficile è condividere quello che si ha con i più poveri. Difficile è rispondere all’arroganza del mondo con gesti di amore e comprensione. Spacciare il rito come una scorciatoia per il paradiso: è stata questa la grande furbata.

Se uno ci guarda dentro bene, però, se si osserva il rito da vicino ci si accorge quasi immediatamente che c’è della sintonia, dell’armonia, c’è del sincronismo tra rito e contenuto del Vangelo. Il centro della messa, infatti, contiene in sintesi lo stile della vita di Gesù: un corpo spezzato per tutti, un sangue sparso per amore, una vita donata in modo gratuito e disinteressato. Forse per questo che, ad un certo punto, qualcuno ha cominciato a dire: meno messe più messa! Che cosa voleva dire quel furbacchione? Probabilmente che la religione fa male alla salute, che una vita religiosa fatta solo di precetti e di riti nuoce all’equilibrio esistenziale, perché ci porta a credere che possiamo controllare Dio, possiamo pretendere di aver il pass per il paradiso e, di conseguenza, rischiamo di entrare nella pericolosissima fase di delirio di onnipotenza. Il Vangelo, invece, ci propone uno stile di vita in cui il rito è una parte del percorso, un ricordo di ciò che è stato e un invito per continuare il cammino insieme ai fratelli e alle sorelle. 

domenica 7 aprile 2024

12 INCONTRO NAZIONALE FEDE E POLITICA - CAMMINI PER UNA SPIRITUALITA' LIBERATRICE

 






BELO HORIZONTE 5-7 APRIEL 2024

 

Paolo Cugini

 

Da venerdì 5 a domenica 7 aprile si è realizzato a Belo Horizonte, capitale dello Stato di Minas Gerais, il 12 incontro nazionale del Movimento Fede e Politica. Questo Movimento nasce nel giugno 1989, da un incontro di persone unite dalla fede cristiana impegnate nelle lotte popolari, con lo scopo di alimentare la dimensione etica e spirituale che dovrebbe animare l'attività politica. Lasciarsi animare dallo Spirito di vita è l'essenza del Movimento Fede e Politica, che non propone linee guida per l'azione politica cristiana, né si comporta come se fosse una tendenza partitica, ma che si batte per il superamento del capitalismo attraverso costruzione di un sistema socio-economico solidale e rispettoso della vita del Pianeta. Nel corso della sua esistenza, MF&P ha promosso incontri di studio, giornate di spiritualità e pubblicato quindici Quaderni su Fede e Politica. A dieci anni dalla sua creazione, attento alla nuova situazione dei movimenti sociali, il Movimento cominciò a promuovere grandi Incontri Nazionali di Fede e Politica.

Quello che si è realizzato a Belo Horizonte in questi giorni è il 12 incontro nazionale, che ha avuto come tema: Spiritualità liberatrice. Incantare la politica con l’arte, la cultura e la democrazia! Dinanzi ad un pubblico numerosissimo, proveniente da tutto il Brasile, i relatori hanno affrontato il tema della crisi attuale che non è solo politica, ma anche economica e ecologica. Due dei fondatori storici del Movimento, Frei Betto e Leonardo Boff, erano presenti all’incontro e hanno contribuito alla riflessione con i loro profondi interventi.

Frei Betto


Frei Betto ha condiviso una riflessione sulla proposta specifica di Gesù, che è il Regno di Dio, chiarendo che: “Regno di Dio è la proposta per il futuro dell'umanità. Gesù non parlava di lassù, ma di qui sulla terra. Il tuo regno venga a noi”. Il Regno per Gesù indica la relazione nell'amore e nella condivisione dei beni. “Condividere i beni della terra e i frutti del lavoro umano. Fino a quando l’umanità non condividerà i beni della terra, non realizzeremo il Regno di Dio”.

Frei Betto, per approfondire il discorso, ha utilizzato l’immagine della macchina che corre verso un obiettivo. “La benzina è la Comunità. Il veicolo è il sindacato, il MST, il movimento femminista, il movimento LGBTQ+, il Partito: ognuna di noi sceglie i propri veicoli per camminare verso il Regno di Dio. La stazione di servizio è la preghiera. Padre nostro e nostro pane. Abbiamo il diritto di invocare Padre Nostro se lottiamo affinché i beni della società siano per tutti. Gesù era un uomo di preghiera. Nella preghiera impariamo ad armonizzarci con noi stessi, con gli altri e con Dio”.

Il frate domenica ha concluso il suo discorso ricordando che Gesù non è venuto per fondare una chiesa o una religione, ma è venuto per salvare il progetto politico di Dio: una società di Giustizia e Pace, che ha chiamato Regno di Dio. “Noi cristiani siamo seguaci di un prigioniero politico”.


Leonardo Boff


Il discorso di Leonardo Boff è stato centrato soprattutto sul tema ecologico, che è il tema su cui lavora maggiormente da circa trent’anni, manifestando una grande preoccupazione per come si stanno evolvendo le cose. “La terra sta raggiungendo il punto in cui non può più reggere. Abbiamo già superato il punto critico del riscaldamento globale del pianeta. Dobbiamo creare connessioni. La terra è già cambiata. Tra il 2025 e il 2027 la Terra si equilibrerà a 38 gradi. I governi devono ridefinire il modo in cui costruiscono le città”.

Boff si è soffermato, anche, sulla crisi politica che sta sconvolgendo molti paesi, crisi visibile nelle circa 18 gravissime guerre che stanno mietendo molte vittime, soprattutto civili, in molte parti del mondo, come nella striscia di Gaza, in Ucraina e in Congo. Di questo ultimo gravissimo conflitto nessuno parla, ma è di dimensioni impressionanti. In questo quadro dai toni apocalittici, Boff ha spostato l’attenzione sul Brasile e, e in modo particolare, sull’Amazzonia.  “È necessario fermare la grande deforestazione. Il futuro dell’umanità passerà attraverso l’Amazzonia e questo lo sostiene anche l’economista Stiglitz”. Per questi motivi non possiamo pensare solamente al Brasile ma dobbiamo promuovere la responsabilità collettiva. “Dobbiamo pensare in grande, non solo riguardo al Brasile. Dobbiamo assumerci la responsabilità collettiva, come ha detto Paulo Freire.”

Moltissimi i partecipanti


Nelle conclusioni del discorso Boff ha indicato due sfide che devono unire tutte e tutti coloro che lottano per un mondo migliore.” La prima sfida è la democrazia che deve essere quotidiana, come valore universale. Un’altra grande sfida: superare la profonda disuguaglianza, una profonda ingiustizia sociale”. Per costruire un nuovo tipo di società che rispetti i principi democratici e che lavori per togliere ogni tipo di disuguaglianza è necessario iniziare dal basso.

È il lavoro di base, che si realizza sia nei movimenti sociali che nelle comunità ecclesiali di base, che diventa possibile costruire un mondo diverso, più giusto e democratico.

 

lunedì 1 aprile 2024

IL VUOTO DELLE CHIESE E LA NOSTRA CECITA’

  



 

Paolo Cugini

 

E così ci sono rimasti loro, anzi, solo loro, i vecchi cattolici che fin da piccoli hanno imparato che la messa della domenica è sacra e, chi non ci va, andrà sicuramente all’inferno. Le chiese oggi sono piene, anzi, quasi vuote, della loro presenza che, giorno dopo giorno, sembra più un’assenza. Che dire: non hanno certo colpa loro, hanno imparato sin da piccoli che è così e, poi, passata l’adolescenza indenni da tentennamenti, hanno proseguito la loro vita religiosa senza battere ciglio. E sono arrivati sino ai nostri giorni. Un tempo, sino a qualche decennio fa, non erano da soli, ma insieme a tante persone: giovani, vecchi e bambini. Oggi non è più così. Alla messa domenicale questi veri e propri cimeli storici, pezzi da museo, vestigi di un tempo che fu e che ora non è più, sono sparsi tra i banchi di chiese semivuote, segno di un declino inarrestabile e, per molti aspetti, rivelativo.

Che cosa dovrebbe, infatti rivelarci, questo quadro a dir poco angosciante? Come tutti gli eventi dipende sempre da che parte lo si guarda. Se lo si osserva dalla parte di coloro che stanno seduti nei banchi, il problema è nella società che è cambiata e, di conseguenza, loro si considerano come se fossero i reduci di una battaglia durissima tra il mondo e la religione. Nessuna domanda critica, nessun tipo di riflessione che possa mettere in discussione una modalità di vivere la religione. Del resto, sarebbe esigere troppo. Ad una certa età, certe domande è meglio non farsele, è meglio andar avanti così come si è sempre fatto. Sarebbe, infatti, troppo doloroso dover ammettere che ci si è sbagliati, che forse si poteva fare in modo differente, che identificare tutto un cammino di fede indicato dal vangelo con una pratica rituale è un po' riduttivo. Comunque loro sono lì in attesa del meritato paradiso.

Adesso mi chiedo: che cosa pensate voi preti quando entrate in queste chiese domenicali semivuote? Soprattutto voi che venite da quei decenni del dopo Concilio in cui il fervore liturgico, la novità del momento aveva stimolato la fantasia e la creatività dei giovani, riempiendo le celebrazioni domenicali? Poi ci hanno pensato i vescovi a risistemare le cose, indicando come abusi liturgici queste celebrazioni partecipate e che vedevano soprattutto la partecipazione di tanti giovani, Spero che ci sia da qualche parte dopo la morte un luogo in cui vengono imprigionati tutti i prudenti e i moderati, tutti coloro, cioè, che hanno ostacolato con la propria codardia e pigrizia intellettuale l’azione dello Spirito. C’è un modo di affrontare la realtà, soprattutto quando questa si presenta in forme nuove, che minaccia la tranquillità morale delle persone per bene, facendo fina di niente, negando, cioè, i cambiamenti in atto. Il negazionismo, anche quello religioso, è una forma di pigrizia mentale, oltre che una manifestazione di stupidità, perché rivela la difficoltà di affrontare la vita per come si manifesta.

E poi ci sono loro: i profeti. Sono loro che vedono la luce dove il mondo scorge solo tenebre. Sono loro che riescono ad interpretare i segni dei tempi e cogliere cammini nuovi dove il mondo vede solo macerie. Come Geremia che “vedeva” l’Alleanza nuova, che Dio stava desiderando creare con il suo popolo (Ger 31,31s), mentre Israele stava osservando l’esercito di Nabucodonosor distruggere il Tempio e le mura di Gerusalemme. Sono i nuovi profeti che si stanno stropicciano gli occhi perché stanno vedendo la grandezza del Signore e la sua gloria nelle chiese, che sono vuote proprio perché lì non c’è più, sta andando altrove. Riprendiamoci, allora, le strade, per rifare il cammino che fece Gesù che, per annunciare la novità del Vangelo, lasciò dietro di sé la sinagoga di Nazareth, per vivere con i suoi discepoli e le sue discepole nelle strade della Galilea. E con Isaia oggi ci dicono: Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43, 18-19).

 

 

venerdì 22 marzo 2024

L'agonia delle acque amazzoniche: riflessioni e iniziative

 




 Articolo di Ivania Vieira: Giornalista, professoressa presso la Facoltà di Informazione e Comunicazione dell'Università Federale dell'Amazzonia (UFAM), dottore di ricerca in Processi socioculturali dell'Amazzonia, editorialista del quotidiano A Crítica de Manaus, cofondatrice del Forum delle donne afroamericane e caraibiche e il Movimento delle Donne di Solidarietà dell'Amazzonia (Muse).

Traduzione: Paolo Cugini

 

I nostri occhi hanno visto prosciugarsi i fiumi dell’Amazzonia. Il fondo dei fiumi rimase terra arrostita, spezzata in centinaia di pezzi. Delfini, pesci e altre specie sono morti, non sappiamo quanti se ne siano andati e non abbiamo avuto la possibilità di saperne di più su di loro. I nostri corpi soffrivano, migliaia di persone erano isolate, affamate di acqua, cibo e alloggi. Questo accadeva ieri, nel 2023. L’agonia dell’Amazzonia lo scorso anno ha generato lezioni. Questi sono stati o verranno appresi nel 2024? Quali iniziative si stanno realmente portando avanti per cambiare i comportamenti della società, le politiche dei governi abbinate a quelle dei gruppi imprenditoriali e dei ricercatori? Quanto è disposto il governo dell’Amazzonia ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico e ad avvicinarsi al raggiungimento di uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), il numero 6 – “entro il 2030, raggiungere un accesso universale ed equo all’acqua per il consumo umano, sicuro e accessibile a tutti”.

L'Igarapé do Gigante, nella Zona Ovest di Manaus, chiede aiuto, una richiesta all'uomo di comprendere, prima che sia troppo tardi, l'importanza di mantenerlo visibile, al di là della patina del progetto mosaico e di altri attacchi distruttivi. Vuole alleanze per la vita e non come una contraffazione che libera la morte. Non è l’unico, tutti i corsi d’acqua della capitale dell’Amazzonia stanno morendo, alcuni distrutti dalla contaminazione dei rifiuti domestici e industriali.

 


Pellegrinaggio dell'acqua

È per i corsi d’acqua, i fiumi, i bacini e le vite che li abitano e intorno a loro, e per le vittime umane che il Forum dell’Acqua di Manaus terrà, questo venerdì (22 marzo), il Pellegrinaggio dell’Acqua, quando gruppi di acqua e i difensori della natura viaggeranno in barca fino al punto d'incontro dei fiumi Negro e Solimões. Il pellegrinaggio fa parte di una serie di attività in occasione della Giornata Mondiale dell'Acqua, istituita nel 1992 dall'ONU e, dal 1993, viene celebrata con eventi in diversi Paesi in questa data. Attivisti, artisti, religiosi, rappresentanti dei gruppi indigeni, neri, giovani, donne, insegnanti, sindacalisti e istituzioni ambientali devono unirsi al pellegrinaggio che riafferma l'impegno a portare avanti il ​​processo di consapevolezza, mobilitazione e partecipazione delle comunità di fede e dell’intera società per contemplare, dal caldo Rio delle Amazzoni, la vita umana e il pianeta nella mistica della cura e della fraternità. Il Pellegrinaggio dell’Acqua è anche una denuncia del fatto che le aziende non possono fare ciò che vogliono ignorando la legislazione. “L’economia non può avere questa autonomia rispetto alla politica e all’etica, ma deve essere realmente focalizzata sul bene collettivo. Non esistono due crisi separate: una ambientale e una sociale; ma un'unica complessa crisi socio-ambientale”, si legge in un documento del Forum das Águas, che riflette l'enciclica Laudato Si' di Papa Francesco a proposito della “cura della nostra casa comune”.

In Brasile, il tema adottato dal governo federale per la Giornata mondiale dell’acqua è “L’acqua ci unisce, il clima ci muove”. Il tempo passa, la voracità della distruzione avanza. La scarsità d’acqua sta diventando endemica, avverte l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO). Ci sono 2 miliardi di persone nel mondo che non hanno accesso all’acqua potabile. Uno dei risultati del cambiamento climatico, secondo un documento dell’UNESCO, è l’aumento della scarsità d’acqua stagionale nelle regioni in cui la risorsa è attualmente abbondante – come l’Africa centrale, l’Asia orientale e parti del Sud America; nelle regioni dove la disponibilità idrica è già scarsa – come il Medio Oriente e il Sahel, in Africa, la situazione dovrebbe peggiorare. “In media, il 10% della popolazione mondiale vive in paesi con stress idrico elevato o critico”, indica l'agenzia.

Secondo l’UNESCO, i paesi a basso, medio e alto reddito mostrano segni di rischi legati alla qualità dell’acqua. “La scarsa qualità dell’acqua ambientale nei paesi a basso reddito è spesso correlata a bassi livelli di trattamento delle acque reflue, mentre nei paesi ad alto reddito gli effluenti agricoli rappresentano un problema più serio”.

I pericoli del riscaldamento globale non sono palpabili, immediati o visibili nel corso della vita quotidiana, non importa quanto sembrino spaventosi, molte persone continuano a sedersi, senza fare nulla del tutto al riguardo. {...} aspettiamo che diventino visibili e acuti e solo allora prendiamo misure serie, per definizione sarà troppo tardi”. Pertanto, costruire canali di comunicazione tra i diversi attori legati alla questione idrica in modo che le informazioni generate da studi come quello qui sviluppato siano effettivamente rilevanti per il processo di adattamento e siano trasmesse in modo chiaro e al momento opportuno per il processo decisionale.

Infine, è importante ricordare che lo sviluppo di queste strategie di adattamento deve essere supportato da politiche pubbliche innovative, capaci di creare le circostanze necessarie per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico, in una prospettiva di lungo termine e in un approccio basato sulla costruzione dei sistemi di cambiamento climatico imparare ad agire in situazioni di complessità e incertezza. Questo insieme di informazioni prodotte nello studio Impatto del cambiamento climatico sulle risorse idriche in Brasile – Agenzia nazionale per l’acqua e i servizi igienico-sanitari di base (ANA), oltre a guidare i decisori e i formulatori di politiche pubbliche, contribuirà anche alla costruzione di questo sistema. I nostri occhi vedono il giorno dopo a Manaus pieno di minacce in atto.

Fonte: A agonia das águas da Amazônia: reflexões e iniciativas. Artigo de Ivânia Vieira - Instituto Humanitas Unisinos - IHU

Dio e i suoi nomi

 



Dal documento della CEAMA (Conferenza Episcopale Amazzonica) sugli studi intorno ai riti amazzonici

Traduzione: Paolo Cugini

 

Dalla mitologia indigena di Abya Yala, dove solitamente tutto è interconnesso, il divino ancestrale acquista importanza come fonte primaria di coesione sociale, culturale e religiosa di tutta la vita. Il popolo Guaranì ci fornisce alcuni elementi significativi che aprono questo itinerario. Secondo la mitologia Guarainense, raccolta dai missionari francescani nel XIX secolo, “all’inizio tutto era acqua”; “un verme chiamato mbir camminava su alcune canne sporgenti”, che “si è fatto uomo di sua spontanea volontà e con lui ha creato la terra. Viene chiamato il maschio mbir Mbiracucha.” Allo stesso tempo, vive la vita del suo popolo come una vita ardua e piena di dolore che permette loro di raggiungere la terra promessa del Nonno. Quella parola è "Nonna" e/o “Nonno” – presente anche in altri popoli, non solo amazzonici –, che ne acquisisce una ricchezza dimensione polisemica e permette loro di nominare Colui che tutto si prende cura e ricrea.

Ciò arricchisce qualcosa che osserviamo nel popolo Chácobo. In essi il divino non è la monade statica, ma presenza duplice e reciproca. Pertanto, tutto ciò che esiste ha vita e sesso, come indicazione che tutto ciò che esiste richiede il suo complemento. Questa dualità sessuale è ancestrale, simbolico e presente in tutto ciò che esiste; Riflette la relazionalità quotidiana e, in definitiva, ha la sua origine e il suo fondamento nel trascendente percepito già nel presente.

Secondo l'espressione di un indigeno Chácobo: “gli dei fecero dei Chácobo uomini e donne”. Il presente è, in un certo senso, un'immagine. C'è esprimere qualcosa che appartiene al mondo del divino. La dinamica della vita e la sua reciproca diversità manifestano l'esistenza, quindi, di una dualità simbolica e interrelazione del divino, che tutto abbraccia dimensioni ed espressioni concrete della realtà, fin dalle sue origini, come ogni cosa è in essa stretta connessione o connessione: cielo-terra, sole-luna, creazione-formazione, unità-diversità, passato presente, maschile-femminile, mito-storia... Questo incontro di apparenti opposti viene vissuto, realizzato e costruito nel presente esistenziale di tanti popoli amazzonici, nella visione del mondo del mondo quotidiano.

Ritornando ad un'espressione già citata, appare una delle rappresentazioni della divinità sotto la figura della nonna e del nonno, che “collaborano” al processo creativo-formativo di tutto ciò esiste e, in particolare, dell’essere umano. I tratti menzionati ed espressi del Divino come Gli Avó-Avô persistono ancora nell'esperienza di diversi popoli indigeni, non solo dei Guarayo Amazzonico. Pertanto, la Kuna di Panama si riferisce al simbolo divino con la denotazione o significato di “nonno sole” e “nonna mare”, mentre i Guarani sono soliti menzionare la luna come nonna e la tigre come “nonna-tigre”.

Data la specifica mentalità indigena, ma allo stesso tempo integrativa e in costante movimento ricreativo e risignificante, nel corso della storia, dei popoli amazzonici riteneva incorporate alcune figure divine straniere presenti presso altri popoli popolazioni indigene. È il caso del Tupa o Tumpa tra i Guarayo, Ayoreo e Chiquitanos, tra gli altri. È una figura presente nei miti, ma con poca enfasi sull'esperienza pratica o sulla vita nel mondo. vita quotidiana indigena.

Tuttavia, forse si potrebbe postulare qualcosa di simile a questo Mistero Ineffabile (Gregorio di Nissa, Karl Rahner), considerato nella tradizione cristiana occidentale come L’ultimo e Trascendente. Questi esempi permettono di comprendere che la dualità-molteplicità non esclude l'unità, ma la costituisce, organizzando le sue culture per un incontro fecondo con il mistero dell'unità costituita trinitariamente, dal Dio che noi cristiani professiamo.